Nightguide intervista i Winter Dies In June

Nightguide intervista i Winter Dies In June

I Winter dies in June sono Alain Marenghi, Andrea Ferrari, Filippo Bergonzi, Luca Ori, Nicola Rossi.
Dopo gli ottimi riscontri ottenuti dal disco d'esordio "The Soft Century" (2014), la giovane band emiliana torna sulle scene con un concept album maturo e che racconta la sua storia al contrario, partendo dalla fine. “Penelope, Sebastian”, uscito il 13 aprile è la storia di un legame tra due persone, ma anche di un legame tra quelle persone e i luoghi che li hanno raccontati (Londa, San Francisco e New York) e attraverso i quali si sono raccontati l'uno all'altro, costruendo la loro personale epica.
Il racconto parte dal momento dell'abbandono e va a ritroso fino all'istante del loro primo incontro. Non è un propriamente un concept, non è una storia... è semplicemente lo sforzo di raccontare la costruzione di una personale mitologia attraverso lo svolgersi delle azioni: Penelope e Sebastian agiscono tra loro e con quello che hanno intorno e facendo questo danno un tempo cronologico al ricordo, un tempo che per chi ascolta scorre al contrario.
Rispetto al precedente lavoro, “Penelope, Sebastian” rappresenta anche un deciso cambio di sonorità: le chitarre sono meno presenti in favore di un sound più arioso: gli arrangiamenti orchestrali di “The Soft Century” lasciano il posto ai synth analogici; l'attitudine post-rock del passato si evolve verso territori più propriamente dream-pop e shoegaze.

Esce il 13 aprile 2018 “Penelope, Sebastian”: qual è la storia di questo disco?
Il disco racconta una storia d'amore al contrario, dal momento della separazione indietro fino al primo incontro. Forse riavvolgendo si capiscono meglio le cose, una sorta di reverse engineering delle relazioni. Un disco che parla soprattutto di luoghi fisici e di canzoni di altri.
E perché dargli questo titolo?
Perché in ogni relazione c'è una persona che aspetta e una che si allontana. Spesso quella che aspetta si rompe il cazzo. Penelope aspetta Ulisse, ma non Sebastian. Anche perché Sebastian non è un principe, ma solo un uomo con molti difetti, tra i quali la codardia.
Quali sono le principali differenze dai tempi di “The Soft Century”?
The Soft Century conteneva canzoni con più accordi. Sembra banale, ma questo vuol dire che erano canzoni che avevano uno svolgimento dove il racconto andava di pari passo con la forma-canzone, e quindi strofe, ritornelli, special e bridge vari. In questo disco la forma canzone rimane ma ciò che porta davvero il pezzo sono i suoni.  Le parole cercano di interpretare le atmosfere create dai suoni o di contrastarli.
La scelta del cantare in inglese è dettata dalla voglia di dare un respiro internazionale ai vostri lavori o da altre motivazioni?
Abbiamo sempre cantato in inglese, scriviamo in inglese, a volte con risultati buoni devo dire.  L'inglese ci dà la possibilità di non parlare analiticamente del nostro ombelico, cosa che succederebbe con la nostra madre lingua. Il ciglio del cantautorato-biedermeier-ti-parlo-della-volta-che-ho-fatto-spesa-al-Famila-e-non-c'erano-i-baiocchi-e-ti-ho-pensata è purtroppo sempre dietro l'angolo con l'italiano.
Come avete strutturato il processo di registrazione?
Il disco è stato registrato in due posti diversi, con produzioni diverse. Non siamo grossi fan della monoliticità produttiva, come non lo siamo di quella emozionale o ritmica. Il processo compositivo è una variabile di flusso, e lo si può fotografare in vari momenti. Quello che è uniforme è la scelta di limitare al massimo le sovraincisioni. E' un disco registrato in poco tempo, questo sì.



Nel vostro disco ci sono alcuni ospiti, vero?
Sì, prima di tutti il grande Martino Cuman, che ha prodotto una parte del disco e ha suonato e cantato (ma mai ballato) in molti episodi. Poi Sara Loreni che ci ha regalato anche in questo disco la sua bella voce. Poi alcune voci di amici (Andrea Mordonini) e conoscenti hanno contro-cantato in un paio di episodi.
Chi sono gli artisti che hanno ispirato la vostra carriera?
Beh, carriera - ride - ok, scusa...Essendo cinque abbiamo riferimenti differenti. A fattor comune metterei Nirvana, Battisti, National, Band of Horses e Slowdive. Oltre a tanto post rock...
E che dischi avete ascoltato in questo ultimo periodo?
Bah...fammi pensare, direi Slowdive, Nothing, Sergio Endrigo.
In conclusione, quali sono i prossimi progetti degli Winter dies in June?
Suonare tanto e bene.

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