Farhenheit 9/11.. Palma d'oro Cannes 2004

Farhenheit 9/11.. Palma d'oro Cannes 2004

“Nei Film il regista è Dio, nei Documentari, Dio è il regista”
Avere un approccio documentaristico, soprattutto per l'Italia, è assai difficile e più complicato del previsto. Quanti documentari all'anno escono esattamente nelle nostre sale con una distribuzione appropriata? Uno? Zero? Ma ancora più difficile è la domanda: Un documentario è effettivamente creazione cinematografica? Teoricamente un film bene o male crea, crea (o adatta) una storia, ricostruisce pezzo per pezzo questo storia/soggetto attraverso alcuni mezzi filmici come la fotografia, la scenografia, la recitazione, le parole che usciranno dalla bocca dei protagonisti.
Nel documentario invece, il regista deve “solamente” raccogliere il materiale, montare, smontare, rimontare, rismontare a proprio piacimento, ed infine ecco il prodotto pronto. Tenuto conto di questo, andiamo ora al polemico Michael Moore e il suo documentario anti-Bush Fahrenheit 9/11, già celebre in tutto il mondo ancora prima di uscire per le ritirate all'ultimo secondo della Icon e della Walt Disney, che rifiutarono di distribuire la pellicola, prima che passasse alla Miramax di Harvey Weinstein. Va innanzitutto apprezzato il coraggio di questo regista, che non ha esitazioni nell'attaccare l'uomo più potente del mondo, ovvero il presidente degli Stati Uniti D'America George W. Bush. Il tutto, più che sugli avvenimento del 11 Settembre, ruota attorno alla attuale Guerra in Iraq, spiegandone causa ed effetto. Durante il primo tempo Moore ci espone le sue tesi riguardante il broglio durante le scorse elezioni americane, che doveva vedere la vincita di un Gore piuttosto che di un Bush, poi indaga riguardo le relazioni tra la famiglia Bush e la famiglia Bin Laden, passando tra altre tematiche scottanti come le vacanzine fuori luogo del Presidente e la negazione di voto a molti afro-americani in Florida. Se il primo tempo indaga sulle probabili cause (e false cause) della guerra in Iraq, il secondo tempo si concentra invece sugli effetti di tale guerra, raccontando il dolore dei famigliari delle vittime (sia iracheni che americani), il reclutamento sporco dei giovani e poveri futuri soldati e il menefreghismo o presunto tale della CasaBianca.
La parte pre-Iraq è esposta da Moore in chiave ironica, commenta con la propria voce le immagini che passano prendendo per il culo Bush ed i suoi alleati, lo ridicolizza davanti agli spettatori, tanto che a Cannes molti giornalisti hanno detto che Bush doveva vincere come Miglior Attore Comico. Ma quando il regista scende sul campo della guerra, il film cambia registro e diventa drammaticità di prim' ordine, diventa commovente, toccante, incredibilmente potente, anche e soprattutto perché sei consapevole che quello che hai davanti non è finzione, ma realtà, che la donna che si sta disperando non è un'attrice, ma una madre vera, una madre che ha perso suo figlio nella guerra in Iraq. La pellicola di Moore ti riempie di domande: Perché diavolo in Florida molti afro-americani sono stati privati del loro diritto di voto durante la battaglia elettorale Gore/Bush? Perché diavolo lo Stato ha lasciato partire dagli Stati Uniti tutta la famiglia Bin Laden che risiedeva in America il giorno dopo la tragedia delle Twin Towers? Perché diavolo Bush ha decurtato del 40% i fondi per la sicurezza nazionale con l'allarme terrorismo in giro? Sono domande che non solo ci costringe a riflettere, ma anche ad arrabbiarci, a prendere una posizione, a non rimanere nell'ignoranza. E al contrario di quanto hanno fatto molti critici americani, non staremo qua a sostenere se Moore ha mostrato cose false, parzialmente vere, o totalmente vere, noi ci attingiamo alle argomentazioni di questo regista del Michigan, che riescono a far riflettere più di quanto molti film messi insieme riescano a fare, stabilendo un punto d'incontro tra Opera Documentaristica e Opera Filmica. Lo definiamo un grande Documentario d'Autore.
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